Le case chiuse , come funzionavano durante il ventennio?

Le case chiuse , come funzionavano durante il ventennio?

Nelle case chiuse fasciste il cliente, scelta la ragazza versava alla cassa il suo obolo, pagando in anticipo la prestazione e riceveva in cambio una marchetta o un gettone (v. riquadro) che in camera consegnava alla fanciulla, come nella foto. Così voleva il Fascismo, perché i giovani in camicia nera non potevano permettersi di “battere la fiacca” nemmeno sotto le lenzuola. Potevano mai le mogli devote, trasformate in angeli del focolare, far fronte da sole sia ai marmocchi, sia alle virili esigenze dei loro intrepidi mariti? CASE CHIUSE. Fu anche per risolvere questo rompicapo che nel Ventennio vennero in soccorso le case di tolleranza, regolamentate da leggi severe, ma sempre molto frequentate. Nei bordelli andavano uomini di tutti i tipi: gerarchi, ufficiali, mariti, ragazzini alle prime esperienze e curiosi dal braccio corto, i cosiddetti “flanellisti” che bighellonavano per lustrarsi la vista, senza mai investire un soldo.

 PROSTITUTE LOW COST. Come per gli alberghi, a contare erano le stelle: si andava dalle pregiatissime case chiuse a quattro stelle, al servizio low cost di due. Cavour nel 1859 autorizzò l’apertura di case controllate dallo Stato per l’esercizio della prostituzione in Lombardia. Nascono le “case di tolleranza” (perché tollerate dallo Stato) di 3 categorie: prima, seconda e terza. Furono fissate le tariffe, la necessità di una licenza per aprire una casa, le tasse da pagare e istituiti controlli medici sulle prostitute per contenere le malattie veneree. Nel 1888, secondo la legge Crispi, all’interno delle case di tolleranza era vietato vendere cibo e bevande, fare feste, balli e canti.

Non si potevano aprire case di tolleranza in prossimità di luoghi di culto, asili e scuole. Le persiane dovevano restare chiuse (da qui il nome “case chiuse”). In teoria era garantita in ogni caso perché per accedere al mestiere il regime richiedeva un tirocinio. Ma le delusioni potevano essere dietro l’angolo. Di tanto in tanto si incontravano però dei tipi che facevano addirittura trasecolare, oltre che per la bellezza, per il garbo, il magistero tecnico, la fantasia, l’intuito psicologico, la passione del mestiere, perfino la delicatezza d’animo, tutte qualità che oggi invano potete cercare sui marciapiedi, nei night e nelle case d’appuntamento”.

 Nello scantinato si trovavano la cucina, la lavanderia e la sala da pranzo. Ai piani superiori invece c’erano le camere da letto e la sala d’aspetto, con affisse alle pareti le regole di prevenzione sanitaria, i regolamenti e le cartoline sexy per accendere le fantasie dei clienti. Il riscaldamento era a legna: in ogni camera c’era una stufa che riscaldava anche una pentola piena d’acqua per umidificare l’ambiente. IL TUBISTA. Periodicamente le ragazze erano sottoposte a visite ginecologiche: un’altra delle regole imposte dal regime. La tutela sanitaria fu anzi uno dei cavalli di battaglia del fascismo: non più prostitute sulle strade, ma al sicuro, nei casini. Li trovava in contraddizione con la politica demografica che sponsorizzava, ma non se la sentì di privare i suoi ragazzi di quel “passatempo”.